LA MACCHINA DELLA RESURREZIONE

Lo Zed è, per definizione, l’elemento più misterioso della Grande Piramide di Giza. Perfettamente integrato nelle simmetrie del monumento, esso è situato nel cuore della piramide che gli egittologi attribuiscono artificiosamente al faraone Cheope. Quale funzione abbia mai potuto avere non è stato definitivamente chiarito.

Eppure, le teorie sono numerose e ciascuna di esse sembra possedere una buona dose di attendibilità. Tuttavia, come spesso accade in queste occasioni, l’ipotesi “ufficiale” appare la meno accreditata.

Gli egittologi, infatti, considerando la particolarità dell’architettura, hanno destinato lo Zed ad una finalità meramente ingegneristica: le sue “camere”, infatti, avrebbero dovuto avere una funzione di “scarico” per smaltire il peso dei blocchi superiori alla cosiddetta Camera del Re, così da evitarne il collasso strutturale.



Un’analisi che è stata smontata pezzo per pezzo, con argomenti significativamente esaustivi, dagli studiosi indipendenti, soprattutto considerando che non vi è ‘contatto’ tra la struttura in granito dello Zed e il resto della piramide come vedremo in seguito e come ha dimostrato l’Ing.Pincherle nel corso dei suoi approfonditi studi in merito.



Lo Zed è una torre di granito interrotta da 5 livelli che spesso viene raffigurata in molti dipinti egizi, composta da quattro ampie camere, una delle quali era la camera dei Re, con in mezzo una vasca di granito definita erroneamente “sarcofago”, ricavata da un un unico blocco di granito intagliato in modo assolutamente perfetto,   talmente tale che alcuni antichi testi egizi raccontano che questa vasca, "fu tagliata da una luce divina", il che ci ricorda le applicazioni di quello Shamir di cui abbiamo tante volte parlato nel corso delle nostre ricerche.

Gli antichi egizi hanno descritto questa torre ricorrendo alla simbologia geroglifica della loro religione; spesso abbinato al simbolo dell’Ankh, lo Zed (o Djed) veniva associato alla figura di Osiride quale rappresentazione della sua spina dorsale. La comprensione della simbologia dello Zed e dell’Ankh all’interno del misticismo e dell’esoterismo egizio ci tornerà molto utile alla fine dell’articolo, specificatamente per i loro significati legati al ciclo vita-morte-resurrezione che permeava la religione egizia principalmente in riferimento al viaggio ultraterreno del faraone, appunto reincarnazione di Osiride.



Osiride era un antico dio del grano. I suoi seguaci lo identificarono con una divinità pastorale di nome Anzti o Anedjti e si insediarono in tempi predinastici nella sua città nel Delta. Il loro simbolo di culto era appunto il pilastro djed, il cui significato non è ancora del tutto chiarito. Forse rappresentava un albero a cui furono tolti i rami, forse un cedro della Siria o del Libano che i seguaci di Osiride portarono dalla loro patria e per il quale chiamarono la loro città Djedu. Più tardi questo nome fu cambiato in Pa-Uzir, da User, il nome egizio di Osiride, e per i greci diventò Busiris.



Il culto di Osiride si diffuse presto in molte regioni dell'Egitto. Egli diventò un dio della terra, della vegetazione e dell'agricoltura. Anche il legame del dio con i riti funebri provenne dai tempi antichi, visto che già durante la V dinastia egli aveva assorbito i dei funerari di Abydos (come Khenti-Amentiu) ed i faraoni defunti vennero identificati con lui. Questo aspetto funerario raggiunse una tale importanza, da elevare Osiride a dio supremo dell'Egitto. Nel concetto religioso dei primi tempi, la mitologia inseriva Osiride fra le divinità dell'enneade ermopolitana. Non fu difficile, vedere in questo dio della vegetazione un figlio di Geb, dio della terra e divinità dell'enneade che prima dei faraoni aveva regnato sull'Egitto. La dea Nut venne considerata sua madre e come fratelli ebbe Iside, Seth e Neftis.

Secondo il mito gli uomini in quei tempi remoti erano ancora dei barbari. Osiride gli insegnò il giusto modo di comportarsi, come coltivare la terra, la costruzione delle case e come venerare le divinità. Inoltre stabiliva per loro delle leggi. Nell’insegnamento Osiride ebbe l'aiuto del suo scriba Thot che creò l'arte e la scienza e diede un nome alle cose. Il governo di Osiride si basava sulla forza di persuasione e non sulla violenza.

Dopo la civilizzazione dell'Egitto, Osiride decise di portare i suoi insegnamenti anche al mondo circostante, usando gli stessi metodi.

Un comportamento, quello di Osiride, che noi del Progetto Atlanticus identifichiamo come equivalente a quello del Player B, spesso associato a Enki, Viracocha e anche a quegli Angeli Caduti, definiti come Vigilanti nel libro di Enoch, citato non a caso, in quanto strettamente correlato come vedremo con il tema dello Zed.

L'antico Libro di Enoch, un libro sacro che fu ritrovato nelle Grotte di Qumram, in Israele, racconta che il pilastro "Zed” è in realtà molto più antico della Grande Piramide, che oggi lo ospita, e che fu trasportato inizialmente da un luogo non meglio definito della Mesopotamia con un carro trainato da 600 buoi ed in seguito posto sulla cima della piramide di Saqqara prima di essere definitivamente smontato e nascosto all’interno della Grande Piramide di Giza.

La Piramide di Saqqara (o di Zoser) come forse quasi tutti sanno è una piramide a gradoni, la più antica delle piramidi egizie, sulla cui superficie dell’ultimo gradone è stata riscontrata dall’ingegnere e grande studioso Mario Pincherle una importante presenza di diorite. La diorite è un materiale molto duro il cui uso sul tetto della piramide avrebbe avuto poco senso in realtà, se non quello di sostenere un enorme peso. Sempre Pincherle evidenzia poi che la base in diorite della cima dell'antica piramide di Saqqara è proprio compatibile con le misure della base ed il peso del pilastro "Zed".

Ciò confermerebbe quanto descritto nel Libro di Enoch relativamente al trasporto dello Zed dalla mesopotamia, forse da Babilonia, fino a Saqqara. E’ possibile allora pensare che la storia dello Zed sia correlata anche alla costruzione della mitica torre di Babele, una torre, costruita per ergersi verso il cielo fino a “raggiungere” metaforicamente dio e sfidarlo.

Forse l’obiettivo poteva addirittura essere quello di muovere guerra contro gli dei tentando di uscire dalla tradizionale interpretazione monoteistica del testo aderendo maggiormente a una idea evemerista della figura del ‘divino’.
   
Un racconto biblico quello della torre di Babele che, come molti altri, presenta un importante parallelo in un poema sumerico più antico, “Enmerkar e il signore di Aratta” in cui si narra del conflitto, probabilmente reale, che aveva contrapposto le città di Uruk e appunto di Aratta, intorno al 3000 a.C.



L’utilizzo della diorite nella costruzione della piramide di Saqqara e la titanica edificazione della torre di Babele di cui purtroppo poco sappiamo, non può che farci tornare alla memoria un altro luogo dove sono stati trovati incredibili blocchi di diorite e andesite sapientemente lavorati da mani che ragionevolmente erano in possesso di tecnologie a noi sconosciute.

Stiamo parlando di Puma Punku e dei suoi incredibili blocchi intagliati di cui abbiamo già fatto menzione in nostri precedenti articoli. Puma Punku è in grado di suscitare nel visitatore profondi interrogativi su chi abbia popolato questa regione e su chi e come abbia edificato le incredibili opere presenti sull’altipiano a pochi chilometri dal lago Titicaca, anch’esso carico di misteri. Chiunque abbia avuto la fortuna di visitare questo luogo è rimasto imbarazzato dinanzi alla peculiare lavorazione e forma dei blocchi di pietra disseminati nell’area. Le leggende locali ci indicano essere Tiwanaku un tempio, costruito in un antico passato dagli uomini del posto per commemorare l’arrivo degli dei del cielo nella vicina Puma Punku.

Il tempio principale del Puma Punku, affacciato su di una vasca cerimoniale o piazza sprofondata, perfettamente levigata, è una delle costruzioni in pietra più grandi del nuovo mondo, in cui a blocchi di pietra di 440 tonnellate ne seguono altri più piccoli, di 200, 100, e via via fino a quelli di 80 e 40 tonnellate.

Il Puma Punku colpisce per la dimensione dei blocchi, ma colpisce anche per la raffinatezza della decorazione scultorea. Ovunque giacciono sparsi al suolo parti di quelli che furono portali, finestre, nicchie o semplici blocchi di pietra. In nessun luogo del nuovo mondo, e probabilmente neppure del vecchio, si trova traccia di una lavorazione della pietra tanto precisa e raffinata. Come in un gigantesco gioco a incastri, ogni blocco era progettato per incastrarsi perfettamente con quelli adiacenti tramite un complesso sistema di indentature, incavi e morsetti metallici. Dai pochi frammenti rimasti, sembra che anche il tetto di questi straordinari edifici fosse costituito di enormi lastre di pietra.

Il rebus di Puma Punku sta tutto nella precisione millimetrica dei suoi blocchi di pietra, specialmente quelli a forma di H. Sono tutti della stessa grandezza come fossero stati prodotti in serie con una sorta di stampo, hanno linee perfette, scanalature levigate, fori di estrema precisione e, come gli altri blocchi, sembrano fatti per essere assemblati a incastro, al fine di creare megalitiche muraglie e insolite costruzioni.



Molti ingegneri sono rimasti stupiti e ammirati da cotanta perfezione millimetrica, che sarebbe difficile da ottenere anche al giorno d’oggi con i moderni mezzi in nostro possesso. Questi enormi blocchi sono infatti composti di diorite, una pietra vulcanica dura quasi come il diamante, la stessa ritrovata sopra la piramide di Saqqara.

A questo punto possiamo quasi immaginare Puma Punku come il cantiere ‘edile’ in cui venivano prodotti i blocchi necessari all’edificazione delle opere antidiluviane come appunto potevano essere lo Zed o la Torre di Babele, sempre che i due non siano in realtà la medesima cosa.

Se questo fosse vero potremmo allora identificare due momenti diversi nella edificazione dello Zed e in quello della Grande Piramide ed effettivamente è interessante osservare come il pilastro in granito non sia congiunto con alcun punto della piramide, ma altresì separato da una intercapedine vuota che separa nettamente i blocchi di granito facenti capo alla misteriosa torre Zed dai blocchi di calcare che invece caratterizzano la struttura della Grande Piramide. Proprio come se la Piramide gli fosse stata costruita intorno!



All'interno della Camera del Re, che viene a trovarsi sotto cinque enormi blocchi di granito, equivalenti ai piani alti dello Zed, è stato rinvenuto quello che viene ritenuto dall’archeologia tradizionale il sarcofago di Cheope, in granito rosso, un materiale ancora oggi dificilissimo da lavorare che, per le sue dimensioni e caratteristiche, ha fatto sorgere il dubbio in diversi ricercatori alternativi che potesse essere in realtà il contentore dell'Arca dell'Alleanza, visto che nessun corpo vi è mai stato ritrovato all’interno e neppure quello sfarzoso corredo funerario che le sepolture egizie ci hanno abituato a vedere.

Esattamente come viene descritto nella Bibbia nel libro dell’Esodo dove leggiamo:

"Faranno un'Arca in legno di acacia: avrà due cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza e un cubito e mezzo di altezza. La rivestirai d'oro puro: dentro e fuori la rivestirai. Farai sopra di essa un bordo d'oro tutto attorno. Fonderai per essa quattro anelli d'oro e li fisserai ai suoi piedi: due anelli su di un lato e due anelli sull'altro lato. Farai delle stanghe di legno di acacia e le rivestirai d'oro. Introdurrai le stanghe negli anelli sui due lati dell'Arca per trasportare l'Arca su di esse. Le stanghe dovranno rimanere negli anelli dell'Arca: non verranno ritirate di lì. Nell'Arca collocherai la Testimonianza che io ti darò."



 
In questo contesto appare logico riflettere sulla figura del protagonista dell’Esodo ebraico dall’Egitto. Intorno al 1300 a.C. Akhenaton, passato alla storia come “il faraone ribelle”, contrappone un culto monoteista a quello politeista in vigore in tutto l’Egitto, forse continuando l’opera intrapresa da suo padre Amenophis III; fonda una nuova capitale ad Amarna, a circa 200 km a sud del Cairo; il popolo resta però in maggioranza fedele agli antichi dei. Seguaci di Akhenaton e del nuovo ed unico dio Aton saranno una esigua minoranza della popolazione egizia, alcune razze tipicamente africane e la quasi totalità degli hyksos, i discendenti delle tribù semite che intorno al XVII secolo a.C. avevano invaso il nord dell’Egitto dominandolo per due dinastie, prima di essere definitivamente sottomessi.

Dopo circa diciassette anni di governo Akhenaton scompare nel nulla e la restaurazione politeista si accanisce contro di lui con una accurata damnatio memoriae: quasi tutti i segni visibili del suo passaggio – iscrizioni, sculture, documenti – vengono distrutti; la stessa città di Amarna è rasa al suolo.

Secondo recenti ipotesi un’insurrezione della popolazione, guidata dal clero tebano, costrinse il faraone eretico ad abbandonare l’Egitto per stabilirsi in Palestina con tutti i suoi seguaci; a conferma di ciò esiste una lettera nella quale il governatore di Gerusalemme fa esplicito riferimento al divieto di abbandonare le terre dell’esilio. Inoltre va ricordata la forte somiglianza del Sal104, che canta la gloria di Dio nel creato, con l’Inno al Sole di Akhenaton, il faraone che nel XIV secolo a.C. introdusse il culto monoteistico del dio Aton.



La presunta relazione tra il culto di Aton e Mosè potrebbe spiegarsi in due modi, mentre il caso che gli ebrei in Egitto seguissero tale culto è da escludere essendo all’epoca ancora fortemente politeisti: la cattività babilonese che avrebbe sancito la superiorità del culto di Yahweh sugli altri avviene soltanto nel VI sec. a.C.

Il periodo dell'Esilio fu di importanza fondamentale per la religione ebraica e di conseguenza per le religioni che ad essa si ispirano, come il cristianesimo e l'Islam. Privati del culto del Tempio, ormai distrutto, i sacerdoti giudei e gli intellettuali deportati assieme ad essi elaborarono una versione della loro religione (meno legata al rituale del culto e maggiormente legata ai valori interiori e spirituali) molto innovativa, tale da permetterle di sopravvivere alla catastrofe ed anzi da uscirne rafforzata. Al punto da riuscire ad imporsi come "vera" interpretazione del culto di YHWH non solo agli "am ha'aretz" di Giuda, ma addirittura ai fedeli di YHWH di Samaria, che arrivarono ad adottare come canonica la redazione del Pentateuco elaborata durante e dopo l'Esilio.

Nella realtà storica e archeologica, invece, s'individua una serie di innovazioni importantissime, che caratterizzarono da quel momento in poi il giudaismo.

Il definitivo trionfo del monoteismo più intransigente e l'eliminazione definitiva di tutte le altre divinità del pantheon cananeo. Se la religione pre-esilica era stata fondamentalmente enoteista (riconosceva l'esistenza di altri dèi, ma riteneva lecito per Israele esclusivamente il culto di YHWH) quella post-esilica è intransigentemente monoteistica: YHWH è l'unica divinità esistente, è lui a muovere la Storia, al punto che anche un sovrano persiano può essere emissario della sua volontà, al punto da essere definito "Messia".

Concordanze storiche non meglio precisate fanno ritenere che dietro la figlia di faraone che adottò Mosè si celasse una nobildonna iniziata al culto di Aton, forse la regina Ankhesenamon, figlia di Akhenaton finita dopo varie vicissitudini in sposa ad Haremhab. L’ipotesi più certa diventa a questo punto che Mosè sia stato un cortigiano di Akhenaton, e dunque fu certamente seguace del culto di Aton; questa ipotesi è suffragata dalla data di nascita di Mosè secondo la tradizione il 7 Adar 2368 (corrispondente agli anni tra il 1391-1386 a.C.) che lo fa un contemporaneo del faraone Akhetaton vissuto nel XIV sec a.C.

Il collegamento tra il faraone ribelle ed esiliato col suo probabile sacerdote, il Mosè biblico dell’esodo ebraico, appare estremamente logica; sono infatti facilmente rintracciabili le numerose analogie storiche, circostanziali e cronologiche tra i due personaggi. Lo stesso nome di Mosè sembra di origine egiziana ed il mito della sua infanzia – salvato dalle acque ed educato alla corte dei faraoni, in perfetta analogia col precedente mito del sumero Sargon – appare come il tentativo di mascherare una realtà che non deve essere divulgata.



Le motivazioni del perché tale storia non doveva essere divulgata tra le altre cose potrebbero avere motivazioni socio-politiche dirompenti.
Ma per capirlo dobbiamo arrivare al 1923, anno dell’apertura della tomba di Tutankhamon da parte di Lord Carnarvon e Howard Carter i quali avevano in realtà, già violato in segreto la tomba circa tre mesi prima dell’apertura ufficiale, trafugando una moltitudine di oggetti preziosi e suppellettili. Ad un primo rapido inventario tra gli oggetti “ufficialmente” ritrovati nella tomba sono presenti anche alcuni papiri dei quali si fa cenno nella corrispondenza privata dei due, in lettere inviate ad amici e colleghi.

Peccato che poco tempo dopo i suddetti papiri risultano inesistenti e cancellati dai successivi inventari. Interrogato in proposito, Carter dichiarerà trattarsi di un clamoroso errore: alcuni rotoli di lino presenti nella tomba erano stati sprovvedutamente scambiati per papiri.

Tale versione appare poco credibile, trattandosi di egittologi esperti. Carter, in particolare, ha alle spalle una lunghissima carriera, ma nessuno solleva obiezioni. Accade però che in un secondo momento le autorità egiziane prospettano la possibilità di togliere a Carter la concessione per continuare gli scavi. Questi allora si reca al consolato britannico e minaccia, nel caso in cui non gli fosse stata rinnovata la concessione, di svelare al mondo intero il contenuto dei famosi papiri¸”…fornendo il vero resoconto…dell’esodo degli ebrei dall’Egitto”

E’ pertanto perfettamente lecito, date tali premesse, supporre che la divulgazione del contenuto dei papiri avrebbe ottenuto effetti indesiderati a livello politico; ed è altrettanto lecito ipotizzare che i papiri narrassero la storia di Akhenaton e dell’esodo suo e dei suoi seguaci verso la Palestina.

Ricordando che era solo di pochi anni prima la famigerata Dichiarazione Balfour (il primo riconoscimento ufficiale delle aspirazioni sioniste in merito alla spartizione dell’Impero Ottomano, costituito da una lettera, scritta dall’allora ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rotschild – principale rappresentante della comunità ebraica inglese e referente del movimento sionista – con la quale il governo britannico affermava di guardare con favore alla creazione di un focolare ebraico in Palestina), si comprende come un documento che nella sostanza minava alla base i miti fondatori del movimento sionista – in particolare relativamente ad una presunta omogeneità razziale ed alla volontà di far ritorno alle terre dei propri presunti avi – avrebbe avuto nell’opinione pubblica mondiale un impatto dirompente, delegittimando definitivamente il movimento sionista stesso, che aveva già intrapreso a tappe forzate e con tutti i mezzi disponibili – non escluso il terrorismo – la colonizzazione della Palestina.



Indirettamente questa vicenda rappresenta a mio avviso una conferma del fatto che il cosiddetto sarcofago di Cheope contenesse in realtà quell’incredibile manufatto rappresentato dall’Arca dell’Alleanza di biblica memoria trafugata da Mosè, sacerdote egiziano legato al culto di Aton, e pertanto in possesso di incredibili conoscenze esoteriche e tecnologiche. Quelle stesse conoscenze che gli consentirono quei prodigi per i quali ancora oggi è ricordato.

Arca dell’Alleanza il cui scopo e funzionamento doveva pertanto essere correlato alla torre Zed, oggetto del presente studio di ricerca, per motivi che ancora oggi ignoriamo, ma che, rifacendoci a quanto si diceva qualche pagina addietro, potrebbero essere legati al desiderio dell’Uomo di ‘raggiungere’ Dio, qualsiasi cosa significhi questo, descritto nel mito della Torre di Babele.

Come sostenuto da Robert Bauval in un suo recente convegno quando osserviamo la Grande Piramide è come se osservassimo una grande “macchina” che non sappiamo utilizzare e a cui forse manca l’energia per poter funzionare. Esattamente come un computer che diventa un pezzo di plastica se gli viene sottratta la corrente e la CPU, così lo Zed, contenuto in essa, potrebbe essere oggi soltanto un incredibile manufatto, retaggio di un tempo antidiluviano, di cui non sapremo mai nè il suo utilizzo, nè il suo funzionamento.

Nè il perché, aggiungo io, a un certo punto venne deciso da qualcuno, qualcuno che rimane ignoto, di provvedere al suo smantellamento da Saqqara per nasconderlo, o proteggerlo, all’interno della Grande Piramide.

Ancora una volta è il Libro di Enoch, e più specificatamente il decimo capitolo del secondo libro, ad aiutarci.

In esso leggiamo infatti che vi è scritto:

"... Allora il Signore, Altissimo santo e Immenso, mandò Uriele a Noè e gli disse: <<Parlagli a nome Mio, digli che si tenga nascosto, rivelagli che un terribile cataclisma si sta avvicinando. Tutta la Terra verrà spazzata da un diluvio che distruggerà tutto ciò che vive in essa. Avvertilo in che modo egli potrà scampare e come il suo seme potrà essere preservato per tutte le generazioni future del mondo>>. Poi il Signore disse a Raffaele: <<Prendi Azazel, il caprone nero, colui che procede alla rovescia nel tempo e legalo mani e piedi. Nascondilo nell'oscurità. Nascondilo nel vuoto e oscuro antro. Imprigionalo là dentro, così le immense pietre di granito, (ognuna delle quale avrà un lato ruvido e scabro), lo chiuderanno in uno spazio oscuro, entro il quale dovrà stare per lunghissimo tempo, lontano dalla luce, che non illuminerà il suo volto e il suo segreto>>, ..."


Azazel, ricordiamolo, è uno degli angeli caduti che hanno insegnato agli uomini prediluviani le arti e i mestieri, ovvero tecnologie e saperi esoterici proprie della più alta gerarchia anunnaka e che per questo motivo sono equiparabili ai nostri Player B secondo la chiave di lettura presentata dal Progetto Atlanticus. Il caprone nero inoltre sembra un riferimento alla figura del Bafometto, adorato dai Templari proprio come simbolo di conoscenza.



E’ possibile pertanto che lo Zed sia stato smantellato proprio poco prima dell’arrivo del Diluvio e ricostruito all’interno della Grande Piramide al fine di imprigionare “Azazel”, il caprone nero, o meglio il suo sapere, al fine di evitare che l’Umanità devastata dal grande cataclisma e quindi presumibilmente tornata allo stato di barbarie, non potesse usufruire del grande potere rappresentato da questi.

Il sapere posseduto dagli “Antichi Dei” e che i Player B (Osiride, Enki, i Vigilanti o Angeli Caduti di cui Azazel faceva parte) volevano condividere con i Sapiens. Un potere di cui invece il Player A, e forse non a torto, temeva lo sconsiderato utilizzo da parte dell’Uomo post-diluviano. Un potere, un sapere, un dono che forse possiamo provare a intuire se proviamo a collegare tutti i tasselli del mosaico che questa vicenda ci offre.

Perché è mia convinzione che ciò di cui stiamo parlando quando parliamo dello Zed sia quello stesso dono che ci fu negato all’alba dei tempi, quando fummo cacciati dal giardino dell’Eden: il frutto dell’albero della vita. Ovvero la vita eterna attraverso la trasfigurazione! Un dono che Azazel voleva condividere con la razza del Sapiens, assumendosi il rischio più grande: quello di essere scacciato anch’egli dalla schiera ‘celeste’.

Potremmo avere pertanto identificato i componenti necessari per il funzionamento della più strabiliante macchina che l’umanità possa mai conoscere: la macchina della trasfigurazione! Quella trasfigurazione raggiungibile anche attraverso un percorso più spirituale, così come manifestato dagli insegnamenti alchemico-gnostici che permisero al Cristo la trasfigurazione in corpo di luce sul monte Tabor.

Una macchina che per funzionare necessità di:

-    Lo Zed (hardware)
-    L’Arca dell’Alleanza (energia)
-    L’Ankh (CPU)

seguendo la metafora suggerita da Bauval.

Il primo elemento l’abbiamo trovato all’interno della grande piramide. Il secondo componente è stato ritrovato, ma è andato smarrito, oppure gelosamente custodito ancora una volta dal Player A. Il terzo, per quel che ne sappiamo non è ancora stato trovato.

Come possiamo affermare questo? Partendo proprio dal significato simbolico che gli antichi egizi attribuivano allo Zed e all’Ankh.

Nella religione degli antichi Egizi, lo Zed (o Djed = "stabilità", "presenza") è la rappresentazione della spina dorsale del dio Osiride, re dell'Oltretomba. Per gli Egizi, la spina dorsale era sede del fluido vitale e inoltre Osiride è il Dio della resurrezione, e il Faraone, che durante la vita terrena rappresenta l'incarnazione di Horus, il divino falco, dopo l’esperienza materiale torna a trasformarsi in Osiride.
Osiride si identifica anche con la Costellazione di Orione, e le tre stelle della "Cintura di Orione" rispecchiano perpendicolarmente sulle tre piramidi di Giza la posizione che avevano nel cielo al tempo della loro costruzione, e rilevabile conoscendo il fenomeno della "Precessione degli Equinozi".

Ricordiamo inoltre che l'Egitto era "lo specchio del cielo": la via Lattea al posto del Nilo e le stelle al posto delle piramidi! Quasi che dal basso si potesse scrutare il cielo per riproporre la stessa cosa sulla terra. L’ermetico concetto del “Come in cielo, così in terra” e dell’infinitamente grande nell’infinitamente piccolo nella ricerca del ritorno all’Uno.


   
Osiride è lo sposo di Iside, identificata con Sirio, la stella della vita stessa. Visto che il faraone è Osiride /Orione, e che la sua sposa è Iside/Sirio, e che dopo la morte il re si prepara a diventare come Osiride possiamo osservare un continuo balletto tra Faraone=Osiride, Uomo=Dio, e come questo sia di fatto l’allegoria di un continuo ciclo di reincarnazioni “vita->morte->nuova vita” del faraone in una continuità coscienziale che consente lui di fatto quella stessa immortalità propria degli dei.

I Faraoni in questo processo sono pertanto diverse rappresentazioni corporali del medesimo soggetto che compie un continuo viaggio tra aldiquà e aldilà, tra piano materiale e piano metafisico. Sapere e potere gestire questo processo, anche attraverso un meccanismo artificiale come potrebbe essere lo Zed, garantiva l’immortalità per colui che ne poteva usufruire, e di conseguenza, un enorme potere sul resto degli uomini.



Ecco perché possiamo intendere la Grande Piramide come una macchina per la resurrezione, uno stargate verso il mondo metafisico: una macchina in grado di fornire all’Uomo quel dono che gli fu negato in Eden. Ovvero il segreto per diventare immortali a livello di coscienza, ovvero nell’anima e non nel corpo, e ‘raggiungere’ così il rango di divinità. Esattamente come poteva essere, probabilmente, l’obiettivo degli autori della Torre di Babele, di ieri e di oggi.
Un rischio che gli “Antichi Dei” non potevano e non possono permettersi.